In ricordo di Peppino Impastato, giovane militante
di sinistra ucciso brutalmente da Cosa Nostra il 9 maggio del ‘78, si è svolto
il primo incontro sulla legalità a Santa Elisabetta.
Nella storia di questo comune non è mai stato
organizzato un evento del genere seppur sia anch’esso territorio
prepotentemente infettato dalla mafia. Un segnale forte, dunque, voluto dal
Sindaco Emilio Militello e dall’Assessore Giovanna Iacono che però non ha visto
la piena partecipazione cittadina e, purtroppo, ancor meno quella di Giunta e
Consiglio comunale. Partiamo da questo per interrogarci su quanto lavoro ancora
sia necessario fare affinchè la coscienza collettiva si risvegli e prenda una
posizione netta, chiara e trasparente sulla questione mafiosa che ha violentato
le nostre terre e ancor di più le nostre vite infettandole di morte.
Il dibattito ha avuto degli interlocutori
privilegiati quali il Testimone di giustizia Ignazio Cutrò, Padre Giuseppe
Livatino, Padre Calogero Morgante e chi vi scrive, Stella Di Vincenzo,
Psicologa esperta in psicologia criminale e investigativa. Tutti noi abbiamo
posto al centro dell’attenzione come la mafia non sia una mera organizzazione
criminale ma tragga la sua forza
dal profondo radicamento nel tessuto sociale, tramite il veicolo di una vera e
propria cultura e mentalità, che
fa dell’onore fondato sulla forza, dell’omertà, della vendetta, i suoi
valori portanti asserviti a un logica del potere che rende i cittadini sudditi.
Non si può pensare di continuare a far finta di non vedere, di non sentire, che
tutto questo non ci riguardi quando in gioco ci sono i fondamenti stessi della
democrazia, quando in bilico ci sono la dignità delle persone, il rispetto
delle regole che vuol dire rispetto del bene comune. Chi è asservito a tali
logiche si rende ugualmente complice della mafia pur non appartenendo ad essa.
Questo il messaggio di Padre Livatino a cui fa eco Padre Calogero Morgante,
ribadendo che bisogna riappropriarci di diritti non di favori e promesse che
pongono in una continua posizione di debito e quindi di subalternità chi li
riceve. Il prezzo da pagare, per una fasulla tranquillità, protezione che i
mafiosi millantano tanto di dare, è altissimo, perché pagato con la negazione
della libertà di vivere ma, soprattutto, essere persone e non cose. Da persona,
anzi da cittadino libero, Ignazio Cutrò, imprenditore di Bivona, ha deciso di
denunciare i suoi aguzzini portando avanti una lotta serrata contro la superbia
mafiosa che aveva imposto la sua “tassa” e il suo controllo. Una lotta che ha
iniziato con la più temibile delle armi, la parola, non solo denunciando alle
forze dell’ordine, ma facendosi portatore, attraverso la sua testimonianza, di
un messaggio di speranza per una rinascita civile e morale che porti a
riappropriarci del nostro futuro. Cutrò, nonostante, l’isolamento, la
sofferenza, le minacce, i soprusi ha deciso di non arrendersi, di alzare la
testa, insieme alla sua famiglia, senza volere per questo nessuna “medaglia al
valore” o ergersi a eroe perché, come lui stesso spiega, “Lo Stato siamo noi e
dobbiamo lottare per la nostra terra”, insieme siamo più forti di “quei quattro
pezzi di merda!”. Il suo è un messaggio di speranza soprattutto per i tanti
imprenditori strozzati dal racket delle estorsioni a cui si mostra che la via
d’uscita esiste ed è denunciare.
La forza che contraddistingue Cutrò è la stessa che ha caratterizzato
Felicia Bartolotta Impastato, da me ricordata per onorare Peppino. Sempre al
suo fianco da vivo, dopo la sua morte sposerà completamente la causa della
lotta alla mafia che porterà avanti con tenacia al fine di non vanificare le
battaglie che il figlio aveva intrapreso contro la tirannia dell’Onorata
Società. È anche grazie a Felicia se Peppino e Giovanni, il fratello, sono
cresciuti “sani” nonostante appartenessero a una “famiglia d’onore” e
dimostrando che c’è sempre un’alternativa all’essere mafioso.
Sicuramente il filo che ha legato la discussione è
stato il dovere di sentirci tutti responsabili della lotta alla criminalità
organizzata che significa lotta per la giustizia, l’onesta, la dignità e la
libertà che non va delegata a pochi coraggiosi testimoni, come Cutrò, Felicia,
Peppino, ma ci deve rendere tutti protagonisti perché riguarda beni che
appartengono alla collettività rappresentando valori portanti di una società
civile.
L’auspicio è che questo non sia l’ultimo incontro
ma il primo di una lunga serie, affinchè l’impegno di tutti sia profondo e
costante per creare degli anticorpi che finalmente possano abbattere il muro
dell’omertà, della rassegnazione e dell’interesse di cui si nutre la mafia
negando la vita e l’amore per la vita stessa.
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